Fantastic machine

di Erminio Fischetti

Il potere sensazionale dell’immagine, il suo linguaggio, la sua capacità di immortalare e descrivere, costituendo le basi della società, determinando un’evoluzione del concetto stesso di identità, tra volontà e rappresentazione, nella moltiplicazione di device e mezzi che di per sé non sono né buoni né cattivi, ma la cui declinazione d’uso rende la realtà una e molteplice, variegata, variopinta, caleidoscopica, contraddittoria, plurale, tra mistificazione, memoria, testimonianza e ostentazione, indagando il bene, il male e tutto quel che c’è nel mezzo: Fantastic machine, meritatamente premiato con ogni evidenza sia al Sundance Festival che nella splendida cornice della Berlinale, esce il 9 maggio al cinema distribuito dalla sempre ottima creatura dell’indimenticato Vieri Razzini, ovverosia Teodora, ed è un documentario riuscito e bellissimo, intenso, potente, elegante, raffinato, compiuto, completo, prodotto da Ruben Östlund (regista due volte vincitore della Palma d’Oro per gli eccellenti, significativi, evocativi e disturbanti Triangle of Sadness e The Square, capaci di mettere alla berlina senza retorica le storture del nostro tempo liquido) e presentato nella versione italiana con la voce narrante di Elio Germano. Da non farsi assolutamente sfuggire: per conoscere, capire, pensare, riflettere, meditare, interrogarsi.

Challengers

di Sabrina Colangeli

Dopo la lunga attesa – e la delusione per non averlo visto all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia – sbarca nelle sale italiane Challengers. La nuova pellicola diretta da Luca Guadagnino arriva il 24 aprile, distribuita da Warner Bros., e già si preannuncia come un vero e proprio fenomeno. Spinto dall’incredibile promozione che sta portando i protagonisti a girare tutto il mondo e dall’altissimo livello di hype che lo circonda, il progetto promette di sbancare i botteghini e imprimersi nell’immaginario del pubblico.

A farne la forza sono senza dubbio gli attori (Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist) – raramente un trio di giovani interpreti appare così affiatato e ammaliante – capaci di incarnare tre figure altamente problematiche, costrette a convivere con rimorsi e rimpianti, ad allontanarsi da sogni che sono stati a portata di mano, a nascondere ciò che turba la loro anima. Il pubblico si appassiona alle vicende narrate, in maniera naturale, dal momento che appartengono alla sfera di ciascuno di noi – per quanto l’ambientazione faccia riferimento al tennis professionistico – e partecipa a livello emotivo, venendone trascinato dentro dallo stile pop e magnetico. Guadagnino firma, infatti, una regia encomiabile: la presenza dell’autore si avverte in ogni singola inquadratura, sia che riprenda un particolare dei suoi attori, sia che restituisca la velocità del gioco attraverso una pallina da tennis. Challengers si distanzia dal resto della sua filmografia e colpisce nel segno proprio per questa capacità di intrattenere ogni genere di spettatore, andando a stuzzicare emozioni diverse e ad alzare l’asticella delle aspettative.

Un plauso a parte va alla musica, perfetta a tenere altissimo e scandire il ritmo, oltre che a simboleggiare determinati momenti narrativi.

Back to Black

di Erminio Fischetti

Back to Black. Amy Winehouse, talento sopraffino e fragile, se n’è andata troppo presto, ma fortunatamente l’arte rende immortali, forse specialmente proprio le canzoni: Sam Taylor-Johson (la produzione, tra gli altri, è di StudioCanal) la fa interpretare a Marisa Abela, che fa del suo meglio ed è circondata da ottimi professionisti (Jack O’Connell, Eddie Marsan, Juliet Cowan, Leslie Manville…) per un biopic, in sala dal diciotto di aprile per Universal, classico e che si lascia ben guardare.

Civil war

di Erminio Fischetti

Intenso, avvincente, emozionante, inquietante, ben scritto, ben recitato, ben congegnato, interessante e potente per il messaggio, Civil war è un film riuscito che si avvale di un’ottima compagine attoriale (Kirsten Dunst e Cailee Spaeny, che hanno in comune riuscite collaborazioni con Sofia Coppola, Wagner Moura, Jesse Plemons, Nick Offerman, Stephen McKinley Henderson…) e che induce alla riflessione: una nuova guerra di secessione ha spaccato l’America, il presidente eletto è diventato un dittatore sanguinario che combatte contro i ribelli del Texas, della Florida e della California, e i giornalisti d’inchiesta, i cani da guardia del potere, i fotografi che immortalano, tra speranze e disillusioni, ideali e abbrutimento, gli eventi più significativi sono i nuovi eroi dal fronte, ma per le loro armi non serve la polvere da sparo. In sala per 01 dal 18 aprile: da vedere. 

Monkey man

di Erminio Fischetti

Monkey man. Dal quattro di aprile al cinema per Universal. Di e con Dev Patel, prodotto da Jordan Peele. Kid combatte da tutta la vita per provare dolore, perché deve espiare una colpa che non ha, perché quando sei un bambino che subisce la più atroce delle ingiustizie e il più tormentoso dei dolori anche se poi diventi un uomo non cresci mai, e non ti liberi mai. Invece ora il suo scopo è proprio quello di liberare, vendicare, giustiziare e fare giustizia, combattere per gli ultimi, i diseredati, i dimenticati, i vilipesi, gli emarginati, i topolini schiacciati dal potere, soffocati dai mefistofelici miasmi di corruzione, sesso, potere, politica e religione, cosa ben diversa dalla spiritualità. Violentissimo, splatter, adrenalinico, è un bell’esordio: da vedere.

Il mio amico robot

di Erminio Fischetti

Lirico, tenero, raffinato, delicatissimo, simbolico, ben scritto, ben congegnato, confezionato in modo elegante e con cura per ogni dettaglio, lieve ma non per questo superficiale, anzi, profondissimo e pieno di grazia e significato, Il mio amico robot, di Pablo Berger, in sala dal 4 aprile per I Wonder, non a caso candidato con pieno merito agli Oscar come miglior film d’animazione in una formidabile cinquina che vedeva tra i protagonisti il maestro Miyazaki, è molto di più di una semplice storia di amicizia, affetto, amore, chiamatelo come volete, ché i sentimenti non sono barattoli di marmellata, non hanno etichette, tra un cane e un androide, è in primo luogo una riflessione sulla perdita, il lutto, il dolore, la crescita, l’elaborazione, la memoria, la solitudine, il desiderio, la speranza, la sorte, il consumismo spersonalizzante delle metropoli. Potentissimo e formidabile, assolutamente da non perdere e commovente sino alle lacrime.

Coincidenze d’amore

di Erminio Fischetti

Tratto – e si vede lontano un miglio – da una pièce teatrale di sedici anni fa, per la firma di Steven Dietz, che è autore prolifico e che appone il suo nome anche sulla sceneggiatura insieme, fra gli altri, a Meg Ryan, l’ex fidanzatina d’America che al netto dei proclami pluridecennali e dell’evidente difficoltà a lasciar scorrere serenamente il tempo viceversa pare trovarsi perfettamente a suo agio in quei panni gai ma un po’ odorosi di canfora e al tempo stesso maschera rassicurante come un’abitudine, e che è anche regista e interprete protagonista assieme a David Duchovny, è un tributo all’aspetto artigianale, per non dire operaio, della settima arte, al suo essere prima di tutto un mestiere: Ryan fa quello che sa fare, copia diligentemente dai più bravi, conosce la riconoscenza e non la supponenza. Tutto è infatti un incessante tributo a Nora Ephron, senza la quale, oggettivamente, Meg Ryan non avrebbe avuto – e infatti non ha più avuto – una carriera, alla sua verve nel raccontare con credibilità le dinamiche di coppia, l’amore, la quotidianità, il perdersi e il ritrovarsi, i ricordi, i successi, pochi, e i fallimenti, tanti, con cui fare pace e che nonostante tutto sono la nostra migliore e più precisa e puntuale definizione. Aeroporto, inverno, bufera di neve che blocca dalla sera alla mattina successiva gli aspiranti viaggiatori, tra cui un uomo e una donna che si sono amati un quarto di secolo prima e che ora s’incontrano di nuovo faccia a faccia, uguali ma diversi: tutto questo è il sorprendentemente grazioso e godibile, superiore alle attese, Coincidenze d’amore, in sala dall’11 aprile per Universal.

Priscilla

di Erminio Fischetti

Ben scritto, ben diretto, ben interpretato (quasi inquietante per bravura l’azzeccatissima protagonista Cailee Spaeny nel ruolo che dà il titolo alla nuova riuscita regia di Sofia Coppola, che trasmette con lucidità, in un contesto apparentemente fatato e laccato, circonfuso di tinte pastello che tutto indorano, il messaggio del ritratto di una condizione femminile subalterna, di una sposa bambina e trofeo, sulla strada dell’autodeterminazione, per un uomo immaturo, egotico, manipolatore e insicuro, divo figlio della mentalità del patriarcato e sua incarnazione, ovverosia nientedimeno che Elvis, qui impersonato dal lanciato Jacob Elordi, Priscilla, passato con successo da Venezia da cui è tornato con una Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, in sala per Vision da dopodomani), il film, tratto dall’autobiografia della signora Presley, è godibile e, anche se lascia volutamente qualche aspetto nell’ombra, ha diverse sequenze convincenti, su tutte il finale, anche grazie alla colonna sonora. Da vedere.

Il teorema di Margherita

di Erminio Fischetti

La protagonista è Marguerite, e non si capisce perché le abbiano cambiato nome in Italia come nemmeno al tempo in cui il bar doveva essere la mescita e la musica jazz era reputata degenerata: Il teorema di Margherita è un bel film francosvizzero, ben scritto, ben diretto, ben recitato (di Anna Novion, è con, fra gli altri, Ella Rumpf, Julien Frison, Jean-Pierre Darrousin e Clotilde Courau), ben confezionato, che racconta la storia di una validissima studiosa alle prese con il sessismo e non solo del mondo accademico, fatto di baroni protervi e truffaldini, ma anche di ragazzi come lei, volenterosi, appassionati, sovente sfruttati. E lei è una donna intelligente, capace e che non si arrende, a dispetto di una società che i giovani, spesso, ama solo punirli. In sala dal 28 marzo per Wanted, da vedere.

May December

di Erminio Fischetti

Uno è nel fiore degli anni, l’altra è già matura, per uno brilla il sole di maggio, per l’altra scintillano colpiti dai raggi i cristalli della neve di dicembre: è da una frase idiomatica anglosassone, bella e raffinata, che indica quando in una storia d’amore c’è grande differenza d’età, come quella che esiste tra due persone che si trovano immerse in altrettante differenti stagioni della vita, che prende il titolo May December, il nuovo, bello e raffinato, per l’appunto, film, in sala dal 21 di marzo per la sempre meritoria Lucky Red, di Todd Haynes, che non ha bisogno di presentazioni, che ha regalato al suo pubblico Far from heaven, Carol e Wonderstruck, che torna a lavorare con la sua attrice per eccellenza, Julianne Moore, comme d’habitude in stato di grazia, qui accompagnata da Natalie Portman e dal sorprendente Charles Melton, che dirige con mano sicura l’ottima sceneggiatura originale, non a caso candidata agli ultimi Oscar, di Samy Burch, assai liberamente ispiratasi alla storia vera di Mary Kay Letourneau, insegnante nota alla cronaca statunitense per l’adescamento del suo allora alunno Vili Fualaau, dodicenne all’epoca dei fatti e in seguito divenuto suo marito. Natalie Portman interpreta un’attrice in cerca del salto verso l’autorialità cui è stato affidato il ruolo della protagonista di un film che racconta la vicenda di una donna finita in carcere per aver intrapreso una relazione con un minorenne di oltre vent’anni più giovane, ora suo marito e padre degli altri suoi figli (lei era sposata ed era già madre all’epoca dello scandalo, quando aveva la stessa età che ha ora colei che la interpreterà), in procinto di lasciare il nido vuoto perché ormai grandi: Portman si reca dunque a Savannah, e incontra una coppia unita ma stanca, ambigua, una donna che potrebbe essere tutto e nulla, e… Ricchissimo di citazioni, livelli d’espressione e chiavi di lettura, è assolutamente da vedere.